Pubblicato in: Senza categoria

Rientrando a Bari da Cagliari

Rientrando a Bari in aereo, fra un vuoto d’aria e una turbolenza a ciel sereno. Ho attraversato la Sardegna in pullman fino a Cagliari, rifacendo il percorso al rovescio. Una lunga strada che inizia dalla Costa Smeralda, insinuandosi fra macchia mediterranea, boschi e montagne di granito che sembrano emergere, a falde, dal sottosuolo e addossarsi l’una all’altra come tessere di un domino scomposto. Continua sinuosa, per lunghi chilometri, in zone montuose e collinari, attraversando gallerie e sfiorando città e piccoli paesi che appaiono, sfumati, fra le alture. Poi, infine, si allunga verso il capoluogo di regione, bordata di oleandri e ginestre che hanno ancora uno spruzzo di fiori giallo oro sulle estremità dei rami. Sono fortunato, mi hanno detto. Questo luglio la Sardegna è ancora verde perché la pioggia è stata abbondante e non ha mai smesso. I margini delle strade e i prati, infatti, sono ancora fioriti come se fosse tarda primavera. Qui il panorama è pianeggiante, la terra è agricola, con vaste colture irrigue e campi di grano trebbiati. Mi appaiono, del tutto inaspettate, delle vaste risaie allagate, come quelle del pavese, con le piantine di riso verdissime. A rifletterci, però, del riso prodotto in Sardegna ne avevo già sentito parlare: un riso eccezionale. Anche questo è vacanza, come lo è scambiare qualche parola con una signora che va ad assistere la figlia che deve partorire. È allegra e ansiosa al contempo.

-Puppa? – ha chiesto l’autista.

-Noooo! Puppo! – ha risposto, orgogliosa, lei.
(Il sardo, parlato dalle donne, è una lingua ancora più musicale e misteriosa). L’andata l’avevo fatta con un trenino sferragliante, che aveva attraversato una zona più interna. I finestrini del vagone erano tutti aperti e le tendine blu di cotone pesante, sollevandosi per il vento, scoprivano, ogni volta, uno scorcio diverso: un querceto da sughero arrampicato sulle colline, filari di fichi d’India e antichi muri a secco di grosse pietre rosse. Tante fermate in piccole stazioni infuocate, dove saliva e scendeva poca gente silenziosa.

Un viaggio iniziato con la Sardegna archeologica, con la visita all’imbrunire al nuraghe e alle tombe dei giganti di Iloi. È proseguito con i due intensi giorni dell’Ardia di Sedilo, in provincia di Oristano, durante i quali sono stato risucchiato e coinvolto nella spettacolarità e nella ritualità dell’evento, diventandone parte, senza possibilità di potermene defilare.

Ho corso anch’io a rotta di collo lungo il pendio della collina, dopo il primo passaggio dei cavalieri al galoppo, per conquistarmi uno dei pochi posti disponibili all’interno di “sa muredda”, una sorta di piccolo palco/altare di forma circolare, circoscritto da un muretto basso, intorno al quale si svolge la parte tattica e finale della manifestazione. Solo pochi riescono ad accedervi, in quanto la via rimane praticabile per pochi secondi fra le due fasi della corsa. Bisogna correre tanto, su una pendenza al limite della sicurezza, cercando di anticipare – molto poco cavallerescamente – vecchi, bambini e signore in Adidas che vengono giù dalla montagna come dei bolidi, rosse in faccia per l’attrito da impatto con la ionosfera. Quest’anno all’interno di sa muredda, con i sedilesi più fortunati, c’ero anch’io.

Chi mi ha visto rientrare a casa, impolverato di terra rossa e dalla cenere della segatura sparata delle salve di fucile, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che dopo aver partecipato all’Ardia una volta non potrò più fare a meno di ritornare. É come se avessi fatto una forzatura al destino, sotto la bonaria intercessione di San Costantino. Fazza Ddiu!

Volendo assecondare questa predizione, oggi, a Cagliari, ho comprato la maglietta con i Quattro Mori. Non è un banale souvenir, da indossare a casa per dire che sono stato in Sardegna, ma sarà la mia “divisa” per la prossima edizione dell’Ardia. L’anguilla arrosto, quest’anno, proprio non ce l’ho fatta a mangiarla. Mi impegnerò la prossima volta!

Per i giorni passati alla Maddalena, scorrazzando nelle isole dell’arcipelago, ho già scritto (anche troppo) perché sarebbero valse anche solo le foto. Solo chi riparte dalla Maddalena può sapere quanto risulti breve il tragitto in traghetto fino a Palau e come appaia innaturale allontanarsi da quel paradiso.

Una citazione la merita, inoltre, l’ultima tappa del viaggio, l’Oasi di Biderosa, nella zona di Orosei (Sardegna centro orientale). Qui ho scoperto panorami ancora primordiali, quasi da pianeta inesplorato. È facile, in quel luogo, sentirsi migliori e perfettamente integrati in quell’equilibrio perfetto, si verifica uno scambio, una specie di osmosi, qualcosa di buono che si riceve e qualcosa di noi che rimane lì, per il solo fatto di esserci stati.

Infine una parola sulle case di Sedilo. Sono austere, con i loro muri di basalto e le persiane quasi sempre accostate, ma sono scrigni di affettività, di rapporti umani e di buon vicinato. I disegni, realizzati con i sassolini inseriti nella malta bianca, sono un indizio…

Lascia un commento