Pubblicato in: Diario di viaggio, Pittura

Incontrando Chagal

Incontrando Chagall

Alla fine del giro sono ritornato alla basilica di Grossmunster, visitabile gratuitamente. Anche in questa chiesa i muri sono di pietra nuda, privi di intonaci decorati, quadri e statue di santi. Solo giù nella cripta, dove si respira un’aria umida, quasi rarefatta, e il suo odore è identico a quello di tutte le cripte del mondo, alcune tracce di antichi affreschi sono state ritratteggiate a grafite, al solo fine di indicare che, un tempo, quei muri erano dipinti con figure sacre ed episodi della Bibbia, opere sacrificate alla iconoclastia sopravvenuta. Nulla di entusiasmante, al primo impatto, in questo luogo il cui fascino è tutto, però, da ricercarsi fra le pieghe della sua storia, nelle sue vetrate gotiche, nel suono del suo organo monumentale. Forse è per questo, ho pensato, che, al contrario di molti altri paesi europei, per visitare le chiese a Zurigo non si fanno code e non si paga.

La sorpresa, quella vera, l’ho avuta, però, subito dopo. Finita la vista a Grossmunster e
lasciandomi alle spalle le sue belle torri svettanti, ho incontrato un’altra chiesa dall’aspetto aggraziato e con un bel campanile con l’orologio. Un cartello ne indicava il nome: Fraumunster, la chiesa del monastero femminile. Non so cosa mi abbia spinto a entrarci considerato che anche questa , come le altre visitate, sembrava offrire ben poco all’occhio. Mai come questa volta,
infatti, mi sono mosso per istinto, snobbando le mappe se non ritrovare la strada per ritornare in albergo. Ci sono entrato con il preconcetto che avrei visto solo dei banchi di legno e dei muri imbiancati o, al massimo, delle belle canne d’organo. Invece, una volta all’interno, stato colpito, quasi accecato, da tre fasci di luce colorata che provenivano da altrettante alte vetrate: una azzurra, una verde e l’ultima gialla. Poi, mano a mano che mi avvicinavo, fissando le figure che acquistavano nitidezza, la memoria mi ha restituito immagini di opere già viste, nomi di artisti già conosciuti. Informazioni che si accavallavano in disordine, senza collocarsi al giusto posto. Ho provato, per qualche secondo interminabile, la strana tensione di avere una soluzione a portata di mano e di non riuscire ad afferrarla. Poi tutto mi è stato chiaro. “Chagall, Chagall… sì, è Chagall!”
Ho pronunciato quel nome a bassa voce,
quasi temendo di sbagliare. L’ho ripetuto ad alta voce, cercando conferme a chi mi stava attorno, a dei turisti del tutto indifferenti e che, forse, ho indispettito per la mia invadenza. Ho cercato, peccando di provincialismo, un applauso o un premio. Certo che era Chagall! Il pittore che ha dipinto i sogni, annullando ogni legge di gravità. l suoi colori sono puri e gli ambienti puliti. Nel suo mondo le persone volano tenendosi per mano, gli oggetti si librano nel vuoto e gli animali hanno spesso volti ed espressioni umane.

Trovarsi di fronte a trenta metri di “quadri
luminosi” di Chagall, vedere la realizzazione più monumentale dei concetti della sua arte, intrisi di misticismo, mistero e cultura ebraica è stata un’emozione forte da vivere e, forse, ancor di più ora, che provo a raccontarla. Persino il tema drammatico di Gesù in croce, interpretato da Chagall, perde ogni angoscia di morte e diventa, tangibilmente, un simbolo di amore universale. L’amore interpretato e incastonato nel giallo, nel verde e nell’azzurro di quelle vetrate.

Qualcosa che assomigliava alla sindrome di
Stendhal aveva preso non solo me ma anche i tanti visitatori che avevano occupato tutti i banchi disponibili, come spettatori di una messa silenziosa di luce e colori, officiata da un sole in perfetto asse.

lorenzodedonno

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