Pubblicato in: Ricordi, Riflessioni

Quando l’erba del vicino è la tua

QUANDO L’ERBA DEL VICINO E’ LA TUA… (Marzo 2021)

Qualcuno ha postato nuovamente, su un gruppo civico, delle cartoline della villa di Maglie degli anni settanta e in molti, dei più giovani, si sono meravigliati nel vedere la bellezza delle aiuole che, all’epoca, erano fiorite e colorate come festoni. Ho già scritto sull’argomento e ci ritorno volentieri. Prima, addirittura, c’era anche un mestiere specifico: “u villieri” che era il giardiniere addetto alla manutenzione della villa di Maglie. E allora, chi ha la mia età ricorda bene le viole del pensiero di diversi colori che venivano alternate alle pratoline doppie, per creare quella stratificazione di bianchi, rossi, gialli e blu dai perimetri perfetti. E d’estate, poi, si giocava sulle altezze. Si piantavano dalie, zinnie, bocche di leone e violacciocche. E allora l’aspetto della villa assumeva quasi sembianze tropicali. Mai a caso, sempre con incastri perfetti di colore: “u villieri” sapeva fare bene il suo lavoro! Conseguentemente, anche il rispetto per il luogo era quasi spontaneo.

Personalmente ho avvertito una gran nostalgia e ho pensato che si osteggia, nelle pubbliche discussioni, il principio della “decrescita” come propaganda politica ma, se si riflette, in decrescita ci stiamo già dentro da un bel pezzo. Decrescita morale, sociale, culturale ed estetica. La bellezza dell’ambiente non va mai trascurata, spesso è proprio l’argine naturale che sbarra il passo alla depressione. Ma forse non è corretto parlare di decrescita, che presuppone una finalità e una strategia, quanto di decadenza.

Ma anche i “giardini segreti” di tante vecchie case di Maglie erano bellissimi. Rose, rampicanti o cespugliose, spesso di razze antiche, disposte lungo un vialetto che portava a una nicchia con un’immagine sacra, circondata dalle fronde ricadenti di gelsomino. Non mancava, poi, l’angolo delle erbe aromatiche: rosmarino e salvia. A fare da sfondo, due o tre alberi di agrumi, perché non poteva mancare il limone, né uno di cachi che, a inizio autunno, si colorava di rosso acceso. Ora anche i giardini privati sembrano meno curati e colorati. Dico “sembrano” perché, forse, siamo sempre più distratti e concentrati su noi stessi e l’ambiente che ci circonda è un optional. Dal canto nostro, da quello di cittadini, si è perso molto di senso estetico e della bellezza in senso esteso (pubblica o privata che sia), mettendoci dentro anche arte, cultura, socialità e solidarietà, in fondo, non ce ne frega nulla…

Ai magliesi, me compreso, va addebitata l’accidia, quel mettersi in attesa e in osservazione passiva. Vale anche per i misteri sulla qualità dell’aria, che meritano un altro capitolo, ben più drammatico.
Anche la Maglie intellettuale sembra replicarsi all’infinito, incartata nel suo ruolo di seconda linea, perché nessuno è avanzato e non ha più i Panarese, i Micolano, i De Donno, i Macrì. Non c’è più la pittura romantica di Montefusco, né l’ineffabile tocco di scalpello del Mangionello. Non ha più, a scuotere le coscienze, la poesia aspra di Salvatore Toma – ieri ricorreva l’anniversario della sua scomparsa – né la propaganda, comunista e visionaria, di Claudia de Lorentiis. Non c’è più una stampa locale che non sia quella dei volantini dei supermercati. È un refettorio di scranni vuoti.

Mi si potrebbe obiettare che è una situazione generalizzata, che non conosce colori politici e confini geografici. Un tempo, però, era lecito riferirsi ai benchmark più virtuosi, tendere a imitare e a imparare dai migliori, invece che consolarsi nello stagno del mal comune. Forse, anzi sicuramente, in quel tempo siamo stati noi il benchmark, l’esempio e lo sprone per chi ci osservava dall’esterno.

Non ho nulla contro i prati spontanei, per carità, ma qualcosina da ridire ce l’avrei – invece – sui prati inglesi privati se, nell’arido Salento, vengono innaffiati con l’acqua di falda, che è un prezioso bene comune, a prescindere dalla possibilità di potersi permettere il costo dei pozzi e delle bollette elettriche. Non dovrebbe bastare poterlo fare. Ma anche questo è un altro discorso. Questa che vediamo nella foto è un’aiuola di villa Tamborino, nel bel centro della città. Non è recentissima ma rappresenta lo stato attuale delle cose. Cosa ci rappresenta, come ci rappresenta?
Vale quello che sembra: un comodo pisciatoio per i cani al guinzaglio di concittadini dall’incerto senso civico, incentivati da cotanta pubblica incuria. Non trasgrediscono alcuna norma, sia ben chiaro, ma il buon gusto forse sì. Qualcuno porta la bustina, qualcun altro no. Che poi, a volerla dire tutta, dove sta scritto che le passeggiate igieniche debbano convergere fra le aiuole della villa?

Troppo facile sparare a 360° mentre il mondo sprofonda per l’epidemia? Forse è vero o forse no. Vale da pro memoria per la ripartita, quando l’avremo raggiunta.

Mi rassicurano: prima di Venerdi Santo passerà qualcuno con un decespugliatore a spuntare la cicoria, le ortiche e gli “zanguni” e piazzerà frettolosamente qualche ciclamino qui e là, come accade con i crisantemi, in novembre, sul viale del cimitero. Speriamolo! O forse, considerata la nostra “zona rossa”, neanche quello. Io, però, a questa visione di Maglie intossicata, versione “trap”, proprio non mi rassegno. Se musica deve essere, preferisco un jazz leggero, dove i musicisti possono anche improvvisare quando hanno un grande talento, o la limpidezza definita della musica barocca, dove ogni corda pizzicata o accarezzata vibra a lungo, all’unisono con i sensi, ma lungi da ogni forma di barocchismo.

E adesso, sperando che abbiate colto che il fatto specifico è solo la metafora dell’insieme, basta! Perché penso di aver già perso, con queste parole, un bel po’ di amicizie… (e, sotto Pasqua, non è bello).

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